Un buco nero con 1200 persone dentro”. E 1200 persone con 1200 buchi neri dentro, tutti diversi, inaccessibili e profondissimi (“più fondo del fondo della notte del pianto” verrebbe da citare De André). Buchi neri in cui affondano creature fragili, principesse che si svegliano una mattina scoprendo che il rospo che avevano trasformato in principe non c’è più, non c’è mai stato (come nella bella testimonianza di Giannetto), e non riemergono spesso mai. Forse per l’intontimento da psicofarmaci, quando non da elettroshock (si veda la diatriba recentemente riaperta dalla circolare dell’ex ministro Rosy Bindi), o forse per scelta, una scelta più o meno consapevole contro se stessi, che porta inevitabilmente all’autodistruzione, un’eversione vera, si potrebbe parlare quasi di un divertimento nell’andare sempre più a fondo in quel buco, forse per dimenticare quello che sta fuori, quello che spesso inghiotte per primo le persone che finiscono nei luoghi come gli opg, ossia “noi”.
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