mercoledì 8 aprile 2009

chi ha paura del diritto d'autore?

La legge specchio della società e del momento che si vive. Dall’intenzione iniziale delle norme sul copyright a un mostro che si rivolta contro chi doveva tutelare. Non è poi strano; i tempi cambiano: la disponibilità di mezzi, forme espressive e informazione ha fatto lievitare la produzione di opere e, dal momento che ogni creazione vive grazie al contesto da cui ha preso le mosse e di questo si nutre, ha fatto lievitare anche citazioni più o meno esplicite e rimandi.

Semmai lo scandalo è che la legge non si stia attrezzando per adeguarsi al mutamento. Al di là degli ovvi motivi di interesse  che stanno dietro a un atteggiamento restrittivo, e quindi di un’interpretazione di questa tendenza come puramente finalizzata alla tutela degli interessi di pochi, mi viene il dubbio che invece si possa leggervi l’opinione, velata magari, di molti. Per cui il pensiero è proprietà, e quello che va protetto è la proprietà prima di tutto e il pensiero poi, forse. Per cui la cultura non è la musica che senti per la strada (come nel fumetto il jazz per le avenues newyorkesi), ma  è qualcosa che va classificato, ordinato, codificato attentamente allo scopo di poterla comprare o vendere e quindi prima di tutto e soprattutto misurare, sempre, con i titoli, con i voti, con i paletti del copyright.   

sabato 4 aprile 2009

pubmed

Pubmed. Comincio subito con uno dei miei “pallini”: la musica; mi ricordo di aver sentito dire da un amico di ricerche di musicoterapia per il Parkinson. Non esito: operatore booleano AND per restringere il campo a ciò che mi interessa, da una parte music e dall’altra Parkinson’s desease. Ed ecco che tra la miriade di articoli che vengono fuori (il mio amico aveva ragione, stavolta il sentito dire, anche se fantasioso era attendibile) mi lascio attrarre da quello di due ricercatori giapponesi “training in mental singing while walking improves gait disturbance in Parkinson’s desease patients”. Apprendo così che i pazienti del gruppo per arrivare a canticchiarsi un motivetto tra sé e intanto camminare hanno dovuto sottoporsi a una sessione di sette “progressive tasks”, dopodichè i risultati, filmati, hanno mostrato miglioramenti significativi. Mi sembra questo un esempio di ricerca esemplare per quanto riguarda il conflitto d’interessi, la cura è semplice e accessibile, disponibile senz’altro in ogni luogo e soprattutto non è smerciabile. Un passo sempre meno tremante in avanti.

sabato 28 marzo 2009

superba è la notte

Ecco a proposito di opg cos'ho trovato scartabellando in un mazzetto di poesie (splendide) di Alda Merini 
  
C'è gente che va in manicomio
soltanto per morire 
o perché una vedova bruciata dal freddo
ha regalato un anello falso
al principe delle onde 
e così questa gente si vendica di tanti predoni 
e dei doni che dio ha dato loro
con assenze private, con comodi irreversibili.
Fanno un fascio dei loro tormenti
e li bruciano al fuoco della morte
facendo strane fatture e strani scongiuri agli dèi.
C'è gente che vuole il veleno dei farmaci
e trova chi li accontenta
o coltelli di sguardo puro
per uccidere i santi e i trovatori.
E' la legge di chi divora la carne degli altri, 
che hanno usato la loro pazienza
per non soffrire.

venerdì 20 marzo 2009

assignment3

La rete. Durante la lettura del pamphlet si è tenuta viva in me una connessione, un’immagine. Forse per limiti miei sono abituata a considerare la rete dal di fuori. Non perché necessariamente sia io a starne fuori, ma perché mi viene comunque da pensare che una rete di solito è fatta perché qualcuno (chi non ne fa parte, appunto) vi rimanga impigliato. Mi si potrebbe obiettare che “siamo unicamente noi con le nostre azioni che possiamo dar valore agli strumenti, di per sé né buoni né cattivi”. Ma onnipervasivi, autoritari, “nuovamente autoritari” forse, ma non per questo la voglia, l’istinto di sfuggire è meno forte. Ancora questione di adattamento, se non allo School Learning Environment, a qualcosa di più difficilmente aggirabile. Dove con aggirabile non intendo il furbinesco aggirare per rifugiarsi nel limaccioso personal environment che non ha niente di learning; intendo che per me aggirare la rete o in qualche modo sbirciare attraverso le sue maglie, affacciarmi su mondi altri è sempre stato quello che ha fatto la differenza (mi rifaccio alla differenza tra il piatto di orecchiette con un amico e la barretta energetica). Mi spiego. Posso essere considerata una fortunata dal punto di vista dello School Environment infantile. Ho frequentato una scuola elementare che senza fregiarsi del titolo di sperimentale ci faceva vivere “la strada” per davvero, invitando in classe i nonni, creando uno scambio assiduo col prospiciente Albergo Popolare-più che una rete un filo da equilibristi-, avevamo perfino un orto vero. Per me le metafore del mezzadro, della madre, del bosco sono quindi familiari, assorbite profondamente, ma al contrario, in modo speculare: come vessillo di ciò che da ogni sistema ha scelto di stare fuori.                                                  Ecco, per me è questa la vita, la differenza: lo squarcio nella rete.

giovedì 19 marzo 2009

delicious

Una possibilità interessante poter sistemare i propri interessi o comunque le proprie preferenze in modo veramente organico, in modo che una sola parola, una tag, basti a collegare a rivelare una rete di connessioni magari impensate fino ad allora. Devo ancora capire un po' come muovermi e abituarmi a creare in qualche modo una sorta di schema delle mie peregrinazioni informatiche. 
A proposito, il link è http://delicious.com/ailicec

mercoledì 18 marzo 2009

commento all'articolo sugli opg

Un buco nero con 1200 persone dentro”. E 1200 persone con 1200 buchi neri dentro, tutti diversi, inaccessibili e profondissimi (“più fondo del fondo della notte del pianto” verrebbe da citare De André). Buchi neri in cui affondano creature fragili, principesse che si svegliano una mattina scoprendo che il rospo che avevano trasformato in principe non c’è più, non c’è mai stato (come nella bella testimonianza di Giannetto), e non riemergono spesso mai. Forse per l’intontimento da psicofarmaci, quando non da elettroshock (si veda la diatriba recentemente riaperta dalla circolare dell’ex ministro Rosy Bindi), o forse per scelta, una scelta più o meno consapevole contro se stessi, che porta inevitabilmente all’autodistruzione, un’eversione vera, si potrebbe parlare quasi di un divertimento nell’andare sempre più a fondo in quel buco, forse per dimenticare quello che sta fuori, quello che spesso inghiotte per primo le persone che finiscono nei luoghi come gli opg, ossia “noi”.