La legge specchio della società e del momento che si vive. Dall’intenzione iniziale delle norme sul copyright a un mostro che si rivolta contro chi doveva tutelare. Non è poi strano; i tempi cambiano: la disponibilità di mezzi, forme espressive e informazione ha fatto lievitare la produzione di opere e, dal momento che ogni creazione vive grazie al contesto da cui ha preso le mosse e di questo si nutre, ha fatto lievitare anche citazioni più o meno esplicite e rimandi.
Semmai lo scandalo è che la legge non si stia attrezzando per adeguarsi al mutamento. Al di là degli ovvi motivi di interesse che stanno dietro a un atteggiamento restrittivo, e quindi di un’interpretazione di questa tendenza come puramente finalizzata alla tutela degli interessi di pochi, mi viene il dubbio che invece si possa leggervi l’opinione, velata magari, di molti. Per cui il pensiero è proprietà, e quello che va protetto è la proprietà prima di tutto e il pensiero poi, forse. Per cui la cultura non è la musica che senti per la strada (come nel fumetto il jazz per le avenues newyorkesi), ma è qualcosa che va classificato, ordinato, codificato attentamente allo scopo di poterla comprare o vendere e quindi prima di tutto e soprattutto misurare, sempre, con i titoli, con i voti, con i paletti del copyright.
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